lunedì 18 giugno 2007

Garessio

Chi non ci è stato non può certo capire.
Garessio è un paese di 3.500 anime a cui sono legato per tanti motivi.
E' da lì che arriva il dialetto e le tradizioni contadine di mia madre.
All'età di 9 anni ricordo il lattaio passare in bicicletta con la cesta e le 6 bottiglie bianche di vetro.
Ricordo mia nonna passarci il cucchiaio di legno per togliere la panna e lasciare che mia sorella ci passasse il dito dentro.
Fragrante.
Come il rumore dei funghi secchi stesi ad asciugare al sole.
Quando il sole spuntava tra il colle San Bernardo e la VaLdinferno l'unica cosa da fare era
prendere la bicicletta e correre lungo la statale, verso il Tanaro e poi su verso il borgo vecchio.
Non c'era nessun appuntamento.
Il pomeriggio passava nei giardini verdi e umidi a raccontarsi.
E a giocare a pallone.
Le partite interminabili.
Appena di ritorno a casa c'era giusto il tempo di togliersi
la polvere dai calzoncini corti e persino dalla testa per sedersi a tavola.
Dalla tavola di casa mia si vede ancora oggi un piccolo roseto e le montagne poco dopo.
Salvia. Lattuga. Pesche e ambrogini (che sono delle piccole susine).
E una montagna di ciliegie.
Ricordo mio nonno con i pantaloni sdruciti e lisi arrampicarsi sulla scala arrugginita tra le raccomandazioni
di mia nonna e l'ammirazione mia e di mia sorella.
Il cesto di vimini carico dei frutti rossi era un rito.
Come la semina sempre in prossimità del novilunio e le conserve di prugne nei barattoli di vetro e le etichette di carta. E sopra quelle etichette la data ed il frutto trascritto da mia nonnna con la sua calligrafia incerta e poco abituata.
E poi le api. La fontana di pietra dove l'acqua "è sempre la più buona" anche se io non ci ho mai sentito alcuna differenza con quella di Milano.
Forse perchè io sono troppo cittadino.
Forse perchè io ormai mi sono abituato all'acqua in bottiglia.
Al traffico e all'aperitivo.
Agli sms e al cemento grigio duro marmo.

Perchè ho scritto tutto questo?

Non lo so.

Siamo nel 2007 e sapere che queste cose le ho fatte mi fa stare bene.
Punto.

domenica 17 giugno 2007

raffasarovividani

Cercherò di scrivere un pensiero molto chiaro.
Lineare.
E' meglio che eviti di usare parole difficili.
O periodi troppo lunghi.

Altrimenti Raffaella non capisce.

Anche perchè quello che voglio dire è molto semplice.
Quello che voglio dire è: (due punti a capo)

"VOGLIO BENE AI MIEI AMICI"

questo non è un racconto.
E non è una finzione.
Niente personaggi strani o finti.
Solo uomini e donne in carne ed ossa. Con un nome.
Saro, Danilo, Viviana e Raffaella.
Io voglio bene a loro.
Non serve scrivere niente altro.
Basta questo.

e se non è chiaro così...

lunedì 4 giugno 2007

L'uomo bendato


L'uomo bendato seguiva il rumore dei passi della gente intorno a sè.

Riusciva a distinguere l'andatura dell'uomo di affari dal profumo acre dell'inchiostro del sole 24 ore e si inebriava al passaggio delle note di muschio bianco che partivano dal collo di quelle donne.

La benda gli copriva il viso dalle sopracciglia fino appena sopra il naso.

Avrebbe voluto togliere quegli 80 cm di cotone e poter vedere il luogo da cui proveniva il dolce e caramellato flusso delle brioches appena fatte.

Essere in grado di dare una forma al viso da cui provenivano quelle voci oppure cogliere tutte le sfumature del giallo e del rossodi quelle foglie che sentiva solamente sotto le sue scarpe di cuoio.

Ma nulla.

Non si poteva fare.

O almeno doveva succedere senza che lui decidesse.

Indovinava il percorso davanti a sè e ormai aveva imparato a non esitare.

Il suo incedere incuriosiva i passanti, colpiti da quell'uomo senza sguardo.

Era partito da Puento de la Reina con uno zaino leggero in cui custodiva una scatola di cartone pochi oggetti raccolti lungo il percorso. Macinava chilometri convinto che sarebbe successo prima o poi.I paesi scorrevano veloci come in una pellicola in un cinema di provincia.

Il profumo dell'eucalipto a Burgos,l'umido e il muschio della pioggia di Leon.

E poi il sole.

Filtrava tra le pieghe delle bende come a dargli una ragione per proseguire.Le ossa scricchiolavano sotto il peso dello zaino ormai carico di ricordi e le gambe e le braccia erano segnate dalle sbucciature e dalle botte di quelle rocce a cui non era preparato. Di quei buchiin cui inevitabilmente si era trovato senza poterli schivare.

In almeno un paio di occasioni si era fermato a ristorarsi dalle fatiche dei sentieri polverosi e si era trovato a pensare a rinunciare di proseguire.

La voglia di guardare oltre si affievoliva e solo le parole dei viandanti al suo fianco, solo il pensiero di ciò a cui aspirava da tempo lo spingevano ad andare oltre.

Continuò a camminare ben oltre il punto in cui all'inizio aveva pensato sarebbe stato il suo arrivo.

Dopo giorni, mesi forse anni di cammino riuscì a sentire il profumo del mare che si increspava davanti a lui.
Il fruscio della schiuma delle onde ed il rumore sordo gli ricordavano ciò che aveva solo fino a quel momento immaginato.Il vento soffiava sulle bende.

Gli schizzi di acqua salata gli inumidivano i capelli impolverati.

Tra le mani teneva stretta quella scatola di cartone. Il bagaglio di una vita. L'unica cosa che gli aveva permesso di arrivare fin lì.

La teneva salda, vicina al suo petto e le bende presero a sciogliersi su di essa.

Davanti a se ora la luce del tramonto bagnava la spiaggia di Fisterra.

L'uomo bendato era in grado di vederla.Prese a sorridere. Scagliò quelle bende nel punto più lontano davanti a se.

E capì che da allora non avrebbe più rivisto quel buio.


L'uomo bendato ricorda con nostalgia quelle parole che gli venivano ripetute ad ogni piccolo borgo in Galizia e che, da allora continua a ripetere a se stesso, senza fine:


ULTREYA
SUSEYA


Ultreya deriva dal latino e vuol dire "sempre più avanti". Suseya significa "sempre più in alto".Entrambi sono il migliore augurio che si può ricevere e dare lungo il Cammino di Santiago.

Ma non solo.

sabato 2 giugno 2007

Anestetico Vitale

Cuore,
dottore asporti pure non sono mai stato portato ad amare
Rene,
ne lasci solo un pezzo mi serve quando vengo colpito basso
Polmone,
lei sa che cosa fare mi fermo troppo spesso per respirare
Stomaco,
dottore tolga il tutto da troppo tempo digerisco ogni fastidio

Somministri pure anestetico vitale
voglio diventare insensibile al dolore
Chiedo rimanere sotto lunga osservazione
addormenti pure ogni forma di passione

Fegato,
io non ne ho mai avuto
Milza,
mi fa male quando è in uso
Occhio,
ho già visto abbastanza
Orecchio,
ha una grande importanza

Somministri pure anestetico vitale
voglio diventare insensibile al dolore
Chiedo rimanere sotto lunga osservazione
addormenti pure ogni forma di passione

Somministri pure l’anestetico vitale
addormenti pure ogni forma di passione ogni forma di dolore
… ogni forma di dolore
… ogni forma di dolore

http://sharebee.com/ef0f3ceb
Il Nucleo
Album: Meccanismi

venerdì 1 giugno 2007

Dove vuole andare?



Saremo stati una trentina. Forse anche qualcuno di più.
Quella agenzia viaggio sapeva di moquette bagnata e carta patinata.
La fila dietro di me era pari a quanti mi precedevano.
Alle pareti solo scritte nere su sfondo bianco con bella calligrafia facevano da culla ai pensieri.
Il commesso all’inizio della fila aveva un sorriso strano e osservava tutti quelli che gli capitavano di fronte con le richieste più strampalate.
Quella era l’unica agenzia viaggi di Nouera.
Ed aveva una caratteristica: si poteva viaggiare nel tempo.
Mano a mano che la fila si riduceva sentivo le richieste degli altri viaggiatori. A volte sussurrate a volte gridate con tutto il fiato in corpo. Ognuno si rivolgeva per quel tempo che aveva perso o che voleva ritrovare.
Fred, uomo sulla settantina con gli occhi lucidi come perle di vetro, voleva indietro i suoi 20 anni e quella capacità di sentirsi vivi, morire e poi ricominciare come solo nelle poesie di Cesare Pavese si può ritrovare.
Maria Lucia, galiziana, con un filo di voce chiese di poter essere di nuovo nell’esatto momento in cui conobbe lui e che da allora non vide più.
Venne il turno di una donna splendente. Lucida come un sole d’acciaio. I capelli inondavano la stanza e dal suo viso si indovinava un pensiero. Quella voglia di capire come sia possibile trovarsi dai 18 ai 30 anni senza avere il tempo di accorgersene.
L’agente di viaggio ascoltava con sguardo attento le sue parole.
Le parole le uscivano confuse come confuso era il cammino che cercava di indovinare davanti a sé.
Lasciò il posto a Diego che iniziò a raccontare il suo desiderio di riallacciare il rapporto con Valentina. L’ultima volta che la vide era una bambina alle prese con i compiti ed il primo bacio. Ed ora era una donna meravigliosa e, come lei, sua figlia. Quella nipote che Diego non aveva mai conosciuto da quell’estate che si allontanò dalla sua compagna, madre ed amica di Valentina.
E poi molti altri.
Una coppia chiese di tornare a quell’attimo in cui si conobbero e lui la corteggiava come l’unica donna al mondo.
Un bambino chiese di tornare qualche mese indietro nel pieno delle feste natalizie.
Un altro ancora alla fine della guerra.
Le voci mi rimbombavano come colpi su una pentola.
Io vorrei tornare..
Io vorrei rivivere quel momento..
Io invece..
Io vorrei…essere…rifare…riprovare…tornare in quell’istante in cui..
Voci..voci..
Nei cataloghi le foto di quell’estate, di quel momento felice, di qui giorni importanti.
Ogni cosa aveva un prezzo proporzionale al rimorso o al rimpianto dell’errore o della viltà o dell’indolenza di non aver affrontato quel momento.
L’uomo che mi precedeva ascoltava con malcelato interesse tutte le richieste di quella fila eterogenea e chiassosa nei sentimenti e nelle voci.
Si voltò e mi osservò.
Finsi di non incrociare il suo sguardo, fumai in barba al divieto e al rispetto degli altri.
Fissavo la punta delle mie scarpe ma sentivo il suo sguardo al centro della testa.
“Lei dove vorrebbe andare?” chiese
“Scusi?” dissi io
“Lei è troppo giovane per poter rimpiangere qualcosa..non crede?”
“Non lo so..so che sono qui perché vorrei tornare in quel momento in cui..”
E prima che finissi, incalzò:
“Lo so…. ai giorni passati a Bologna, a quel appartamento tutto polvere e musica, al giorno del suo matrimonio, a quelle parole non dette con Tiziana e poi…e poi…”
“Ma lei come fa a sapere tutto questo?”
“Bhè, diciamo che ho barato”
“Sapevo che ti avrei incontrato qui…e ho chiesto, diciamo fra cinquant’anni a partire da adesso, di ritornare a questo momento”
“Ma come…..quindi lei è…anzi lei..io..sono”
“Si”
“C’è buio davanti ma c’è un mare di cose che ti aspetta…le cose arrivano senza doversi guardare troppo indietro. Fidati ragazzo”
Presi a fumare un’altra Galouise. Uscii dalla fila. Sorrisi alla galiziana, alla donna splendente e a Diego.
Presi un gelato.
Ieri ormai è passato.
Domani…
Ci penseremo domani
.