Garessio è un paese di 3.500 anime a cui sono legato per tanti motivi.
E' da lì che arriva il dialetto e le tradizioni contadine di mia madre.
All'età di 9 anni ricordo il lattaio passare in bicicletta con la cesta e le 6 bottiglie bianche di vetro.
Ricordo mia nonna passarci il cucchiaio di legno per togliere la panna e lasciare che mia sorella ci passasse il dito dentro.
Fragrante.
Come il rumore dei funghi secchi stesi ad asciugare al sole.
Quando il sole spuntava tra il colle San Bernardo e la VaLdinferno l'unica cosa da fare era
prendere la bicicletta e correre lungo la statale, verso il Tanaro e poi su verso il borgo vecchio.
Non c'era nessun appuntamento.
Il pomeriggio passava nei giardini verdi e umidi a raccontarsi.
E a giocare a pallone.
Le partite interminabili.
Appena di ritorno a casa c'era giusto il tempo di togliersi
la polvere dai calzoncini corti e persino dalla testa per sedersi a tavola.
Dalla tavola di casa mia si vede ancora oggi un piccolo roseto e le montagne poco dopo.
Salvia. Lattuga. Pesche e ambrogini (che sono delle piccole susine).
E una montagna di ciliegie.
Ricordo mio nonno con i pantaloni sdruciti e lisi arrampicarsi sulla scala arrugginita tra le raccomandazioni
di mia nonna e l'ammirazione mia e di mia sorella.
Il cesto di vimini carico dei frutti rossi era un rito.
Come la semina sempre in prossimità del novilunio e le conserve di prugne nei barattoli di vetro e le etichette di carta. E sopra quelle etichette la data ed il frutto trascritto da mia nonnna con la sua calligrafia incerta e poco abituata.
E poi le api. La fontana di pietra dove l'acqua "è sempre la più buona" anche se io non ci ho mai sentito alcuna differenza con quella di Milano.
Forse perchè io sono troppo cittadino.
Forse perchè io ormai mi sono abituato all'acqua in bottiglia.
Al traffico e all'aperitivo.
Agli sms e al cemento grigio duro marmo.
Perchè ho scritto tutto questo?
Non lo so.
Siamo nel 2007 e sapere che queste cose le ho fatte mi fa stare bene.
Punto.