mercoledì 30 maggio 2007

Seneca



C'è bisogno di una prova per conoscersi;


nessuno sa quel che può se non sperimentandosi

Polvere di stelle


Fossi stato capace ti avrei spaccato la faccia.
A Naxos era magico ma i tuoi occhi avevano una luce strana.
Ti piaceva provocarmi tanto da togliermi le parole.

Ti piaceva essere al centro dell’attenzione e spingere gli altri a seguirti. Eri magnetica e pericolosa.
E non mi importava se qualcuno mi diceva "credo che tu meriti di più". In quel momento di più non esisteva e non mi importava.
Correvamo sul motorino come se ignorassimo di poterci ammazzare.
Facevamo l’amore come se volessimo ammazzarci con le nostre mani.
Ogni tanto sparivi e lasciavi tutti con il fiato sospeso a pensare a dove avresti potuto essere.


Con chi.

Ma soprattutto perché.


Non te lo ho mai chiesto anche se per te era la cosa più naturale del mondo.
Il mondo è un po’ una merda, mi dicevi, ma ti piaceva confrontarti.

Volevi sempre far vedere di essere invincibile ed io cercavo di starti dietro in tutti i modi.


Ricordo quella volta che mi sentii completamente impotente di fronte ai tuoi scatti d’ira, di fronte a quegli occhi che avevano una luce strana.
Un perché forse non c’era. C’era la rabbia.
C’era il fatto che tanto comunque ne vieni fuori quando vuoi come mi ripetevi sempre tu.
C’era che eri veramente più forte degli altri.
Fino al giorno in cui finimmo con il lanciarci dietro persino le tue scarpe.
Gridavi e mi dicevi che non capivo.
La polvere di stelle si era messa tra di noi e tu ti stavi allontanando da me e dal mondo.
Oggi mi ha chiamato Ste e mi ha detto che non ci sei più.
Forse avrei potuto fare qualcosa.
O forse no.
Grazie a quelli che le hanno regalato la sua polvere di stelle.
Grazie a quelli che le hanno detto "stasera vai forte"
Grazie a quelli con cui è stata sveglia tutta la notte senza sentire la paura e lo schifo.
Bella roba.


"Il danno è quando non c’è il business che mi chiama
perché la linea della vita è filigrana
e mi hanno detto che la vita è una puttana
te la fa pagare dall’inizio settimana"
Mi hanno detto che
Club Dogo

Caro Mario, oggi non ci sono

Per l’ennesima volta Mario prese a raccontarmi di come gira il mondo e di Martina.

"Non voglio farti un trattato o una formula che spiega quali siano le cose veramente importanti nella vita" mi disse

"Ma ho capito, secondo me, ciò su cui impegnare se stesso"

E sottolineò -secondo me- mentre distratto pescò da un pacchetto di patatine.

Lo guardai accigliato e con un sorriso malcelato come a dire: "Mario, ma a me che cazzo me ne frega?"
Forse niente. Ma tutto è niente. Vale la pena ascoltarlo. La curiosità, in fin dei conti, è il primo sintomo di intelligenza.


"Ti faccio un esempio: Usciamo una sera. Appuntamento alle 21:00 (:00 non :01). Macchina d’ordinanza. Cena con lume di candela e parole soffuse. Atmosfera da "come in un sogno". Ti riaccompagno a casa. E il dopo. E via.
Routine.
Pizza dopo pizza, lavoro dopo lavoro, stessi amici dopo stessi amici. Dopo c’è solo la morte.
E se quella sera mentre eravamo diretti verso la pizzeria avessimo svoltato verso non so dove solo per il gusto di guardare ciò che ci aveva colpito?
E se la avessi accompagnata lungo il fiume a guardare quei murales sotto la luce dei lampioni?
E se fossi sparito nel cuore della notte per lasciarle solo il ricordo di me?
E se fossimo stati in silenzio? Silenzio. Al posto di tutto ciò che non serve dire. E ci fossimo guardati negli occhi per indovinare nello sguardo dell’altro qualcosa di simile ad un "ti amo"?
E se fossi corsi sotto casa sua, in un giorno che non si aspetta, solo per dirle "ti ho pensato?"
"Questione di limiti…" mi disse Mario
"C’è chi ha una soglia di resistenza molto bassa e dopo due giri di campo o pochi chilometri di corsa preferisce fermarsi a tirare il fiato. O forse non partire mai.
E c’è chi quei limiti ce li ha molto più in alto. Questione di esperienza. Questione di botte nell’animo. E soffio innato di vita. Questione di desiderare sempre qualcosa di più"
Con la mano segnava un punto immaginario alto sopra le nostre teste e continuò. "per tutti quelli che vogliono fare della propria vita un’opera d’arte il limite è molto più in alto. Per alcune cose forse limite non c’è"
Si sedette vicino a me, chinò il capo e mentre si osservava le mani continuò
"A volte ammiro chi quei limiti ce li ha bassi. L’asticella del salto in alto supera di poco le proprie ginocchia e basta un piccolo sforzo per essere dall’altra parte. Li ammiro perché senza allenamento e con poco sforzo il loro risultato lo raggiungono.
"Io sono contento (per essere felice evidentemente gli mancava qualcosa) perché il mio punto di riferimento è splendente. Preferisco continuare a spingermi oltre per arrivare a Martina"
"Amo la sua capacità di essere instabile. La follia che tiene acceso il desiderio. Amo la sua volontà di appassionarsi alla vita e di vivere solo una cosa con tutta l’intensità possibile:
L’amore"
"Questo è ciò che mi rende vivo"
"E non importa se ti perdi quella serata. Quella pizza alle 21:00 (:00 non :01). Quelle frasi scontate.
L’asticella del salto in alto va messa sempre un po’ più in su"
"E tutto ciò che è stato fatto per saltare dall’altra parte riempie il cuore senza fine"



Regola numero 1. Se Mario ti chiede di salire a casa tua perché passava di lì per caso o perché vuole fare 4 chiacchiere…meglio non rispondere al citofon
o

giovedì 10 maggio 2007

Arzigogoli (seghe mentali)


Ora alzo il telefono e lo chiamo.


In fin dei conti non c’è niente di male. Ci siamo incrociati, abbiamo sbiascicato qualcosa fingendo reciproco interesse e mi è volato il suo biglietto da visita in tasca.


Si lo chiamo.


Devo comunque ringraziarlo per aver accompagnato a casa la mia amica.


Ora che ci penso bene però potrebbe anche darsi che tutto questo gran da farsi fosse indirizzato verso di lei, anziché verso di me.


Hai capito, lo stronzo? Dammi il tuo numero, ti chiamo, certo che sei simpatica, anche la tua amica, come hai detto che si chiama?....No, non lo chiamo più. Non voglio mica passare per quella che se la fa fare sotto il naso.


E poi lei…così angelica. “No, figurati, non stare ad accompagnarmi, devi fare un giro assurdo”…Ma quale giro assurdo, si vedeva lontano un miglio che non aspettavi altro. Ho deciso. Adesso lo chiamo, ma per dirgliene quattro. No, forse è meglio di no.


Se alla fine di tutto questo, non dovesse essere successo niente farei la figura della pazza nevrastenica che si è fatta tutti questi film senza alcun motivo. Forse la cosa migliore è chiamare lei. Potrei farle le solite domande da sigla di apertura, giro di parole inconcludenti, ah..che bello…ma va…e poi affondare con qualche domanda più particolare. Eh già..però chissà se riesco a farmi dire quello che vorrei. Con lei non ci sono mai riuscita. Sembra sempre che sappia dove voglio andare a parare.


E’ un tipo un po’ viscido e laido, ora che ci penso. Come quella volta che dicono che lei sia uscita con uno che dicono che avesse un’altra storia prossima all’altare. Non mi va un granchè di sentire quella sua voce simil-citofono. Non stasera. E se dovessi chiamare prima lui e subito dopo lei? Se dovessero essere tutti e due occupati allora sarebbe chiaro che è nato qualcosa tra di loro….’sti stronzi…e pensare che sono io che li ho fatti conoscere. Potrei aspettare che almeno uno dei due metta giù e poi, con un tono sarcastico e sostenuto, chiedergli “Con chi eri al telefono, prima?”. Voglio proprio vedere che cosa mi risponderebbero. Scommetto che entrambi mi risponderebbero la stessa cosa. Anzi no. Non sarebbe furbo. Già me li immagino. Lì al telefono a scambiarsi ridolini e falsi complimenti e ad accordarsi su come mentire alle prossime domande. Di sicuro è lei che gli dirà: “Allora, se lei ti chiama e ti chiede con chi eri al telefono potresti dirle che….”. Ora lascio passare dieci minuti, giusto il tempo che mettano giù la cornetta (ammesso che stiano parlando) e chiamo lei. E se dovessi chiamarla e sentire che c’è anche lui nella stanza. Magari che sta ridendo? O che le sussurra qualcosa?


Si, adesso la chiamo. Voglio proprio sentire che cosa mi dice. Se riesce ad essere impassibile anche questa volta…giuro che la strangolo.


Ho il sangue che mi pulsa nel cervello. Dove ho messo il suo numero? L’avevo qua da qualche parte….adesso mi sente…questa volta non gliela faccio passare liscia..alzo la cornetta: “Telecom Italia, messaggio gratuito, il numero da lei composto è inesistente”….pure la Telecom ci si mette. E se lui lavorasse in Telecom? E se avessero impostato questo messaggio sulle mie chiamate? E se fossero lì a vedere il mio numero sul display e a ridersela insieme…e se….(dedicato a Serena)

Fabio Lulli è papà (e interista)

Me la ricordo la prima volta...cioè non è che mi ricordi tutto ma la sensazione, quella sì. Sei piani o quasi a piedi e verso la fine lui, cominciava ad affacciarsi lui: tra un piano e l'altro, mettendoti in punta di piedi cominciavi a vederlo. Non ne avevo visti tanti: il parco, l'oratorio, sempre irregolari, sempre improvvisati, mai con un filo d'erba. Ancora qualche gradino con il cuore in gola, la mano in quella di mio padre e poi lui, eccolo là, abbagliante: sembra piccolissimo, sembra finto, sembra così morbido, non sembra vero da quanto è bello. E poi i rumori arrivano improvvisi: la folla, migliaia di conversazioni in contemporanea, la voce dell'altoparlante gracchia mentre il suo verde ancora mi acceca. S.Siro: sembrava un luogo misterioso. Esisteva solo alla radio quando Ciotti diceva "spalti gremiti in ogni ordine di posto", c'era solo nei discorsi di quelli più grandi che dicevano "Domenica vado a S.Siro" e se ne riempivano la bocca: andate, andate pure a questo S.Siro che io domenica tanto vado dai nonni. Finalmente c'ero anch'io a questo S.Siro e mi girava la testa mentre vedevo quelle maglie nerazzure fare il riscaldamento: più che azzurre mi sembravano blu. Bello il blu, mi è sempre piaciuto. "Papà, come si chiama quello alto con i riccioli? Altobelli? Ah, allora è quello che fa tutti i gol? Ma oggi segna? Come non si sa? Secondo me segna di sicuro": la speranza cieca e ingiustificata dell'interista mi fa compagnia ancora oggi. Ormai ero innamorato: l'avevo solo sentita nominare, mi avevano promesso di presentarmela di persona, già mi piaceva ma amore senza neanche vederla mi sembrava eccessivo. Eccomi qui: piacere Fabio, ciao Inter, cerca di vincere oggi che è la mia prima volta a S.Siro, mi sa che mi hai già stregato il cuore. Mamma e squadra di calcio: dicono che solo loro non si cambiano per la vita. Con la mamma ero già a posto, a posto anche con la squadra adesso: non ti cambio più tranquilla Inter, anche se in classe siamo solo in tre che teniamo per te e all'intervallo ci prendono in giro. E' cominciata così e continua ancora adesso: nel frattempo pioggia, freddo, caldo, gioia poca, nebbia, lanci lunghi dello stopper, sofferenza tanta, caffè caldo, coca a 5000 lire, smarties che portano fortuna, mars perchè in realtà gli smarties portano sfiga, niente più mars perchè domenica l'ho preso e abbiamo perso lo stesso, abbraccio a uno sconosciuto perchè abbiamo segnato, cinque alto a quello dietro perchè oggi lo avevamo detto solo io e lui che il fenomeno segnava, chi non salta rossonero è, coda in bagno all'intervallo (e arriva sempre quello che dice "C'è anche la coda per pisciare" e tutti giù a ridere), coda fuori ai cancelli, coda in macchina per tornare a casa e merenda prima di vedere 90 minuto, voltarsi a fine primo tempo e improvvisare un punto tecnico con il tizio dietro (tu che da bambino dovevano spararti per parlare con gli estranei). Come spiegare cosa si prova quando l'orologio segna l'ottantesimo minuto e sai che i tuoi non passeranno mai più la metà campo trasformando la nostra area di rigore in una tonnara: la mattanza è interminabile e i minuti diventano ore, mentre migliaia di persone sembrano soffiare verso il pallone per allontanarlo dalla nostra porta. La "cagona" finale dell'Inter è marchio DOP. Non si "va" allo stadio, "si deve andare allo stadio": è un abisso senza ritorno e non c'è San Patrignano che tenga. C'è sempre un fondo di sofferenza negli occhi di chi incontrate in piazzale Axum, la stessa che in genere vi fa abbassare gli occhi e sussurrare "Sono interista" quando vi chiedono per quale squadra tifate: abbassate gli occhi per non vedere il sorriso di chi vi sta di fronte e che si sente sempre in dovere di farvi la solita battuta del cazzo. Già perchè è facile fare battute quando non sai cosa vuol dire esserci con ogni temperatura, se non sei mai arrivato due ore prima della partita perchè i posti non sono numerati e ti ghiacci il culo sui gradoni, se non misuri la tua vita a stagioni calcistiche, se non hai mai pensato per un momento che se segnano adesso non me frega dell'esame di Diritto Privato di martedì, se non sei mai stato giù di morale ma poi l'Inter ha vinto il derby e almeno quella parte della tua vita sta andando bene, se non hai mai pianto quando finalmente Baggio ha segnato scartando il portiere giocando nell'Inter, se non hai mai urlato talmente forte dopo un gol da annebbiarti la vista. Le battute fatele ai Severgnini che contano i soldi sulle nostre sfortune seduti nel loro accogliente salotto, fatele ai quei quattro comici che neanche sanno che Angelo Orlando e Andrea Seno hanno giocato nell'Inter perchè quella sì sarebbe una battuta da far venire giù il teatro, fatele a chi crede che in fondo sia solo una partita e tanto cosa ce ne viene in tasca. Quest'anno abbiamo vinto lo scudetto e nasce mio figlio: sparatemi adesso. (racconto di Fabio Lulli)

martedì 8 maggio 2007

Ulisse



Potrebbe chiamarsi Ulisse ma credo non sia il caso di scomodare i miti classici e soprattutto stonerebbe per via del suo sesso.
Giorno 26 dell’anno 1200 del Signore, uguale a tutti gli altri ma diverso per il fatto che le è successo qualcosa.
Raccoglie la gomena e mentre prepara la cambusa da una controllata al vento. E’ maestrale e soffia forte da molte settimane. E’ quel vento che le fa perdere l’equilibrio, che le soffia dritto negli occhi e le fa venire voglia di chiuderli. O di piangere.
E’ un vento caldo ed è della stessa intensità di quei volti e di quelle immagini che le passano per la testa.
Anche quando il vento scende le rimane comunque tra i capelli, nelle ossa e nei pensieri.
Lo si vede dagli occhi che scrutano l’orizzonte e che guardano, senza vederla, alla rotta.
Le si vede nei suoi occhi il colore dell’orizzonte e il suo sguardo, che tradisce, ciò di cui lei non vuole parlare.
Il desiderio di salpare è pari a quello di rinascere. Ma, anche se non lo dice, la paura di quel mare aperto è grande quanto il mare stesso.
Io sono fermo sulla riva e la osservo mentre finge di non pensarci.
Le sirene ed il vento e lo spazio aperto e la voglia di sentirsi viva.
Sono fermo sulla riva a parlare con Anna. Anche lei legge il suo cuore dietro al verde dei suoi occhi.
Non ha bisogno di consigli.
Non ha bisogno di rotte.
Non ha bisogno di fermarsi.
Io e Anna lo sentiamo e sappiamo che il vento continuerà a tirare forte.
Ancora per un po’.
Alzo il bavero, stringo Anna e le auguro


Buon Viaggio