venerdì 28 dicembre 2007

Ce l'avete fatta, bastardi


Benazir Bhutto era nata il 21 giugno 1953, in una famiglia benestante proprietaria terriera. Suo padre, Zulfikar Ali Bhutto, aveva fondato il Partito del Popolo Pakistano (PPP) ed era stato presidente e primo ministro del Pakistan dal 1971 al 1977


Dopo essersi laureata in politica ad Harvard e a Oxford, Bhutto era tornata in Pakistan nel 1977, poco prima che i militari salissero al potere destituendo suo padre. Benazir Bhutto aveva ereditato la leadership del PPP dopo l'uccisione del padre nel 1979 quando al potere c'era il generale Mohammad Zia-ul-Haq.


Inizialmente eletta primo ministro nel 1988, Bhutto era stata accusata di corruzione e destituita dall'allora presidente nel 1990. Tornata al potere nel 1993 dopo il suo successore, Nawaz Sharif, aveva dovuto dimettersi per divergenze con il presidente.


In 1999, Bhutto e il marito, Asif Ali Zardari, erano stati condannati a cinque anni di carcere e multati per 8,6 milioni di dollari con l'accusa di aver preso tangenti da una compagnia svizzera ingaggiata per combattere le frodi alla dogana. Una corte suprema aveva rovesciato la sentenza di condanna, giudicandola non imparziale. Bhutto, che aveva nominato il marito ministro per gli investimenti durante il suo governo dal 1993 al 1996, era all'estero al momento della condanna e aveva scelto di non fare ritorno in Pakistan.

Gli avvocati a Ginevra di Bhutto hanno annunciato il mese scorso di aver fatto ricorso in appello nell'ambito di un'inchiesta in Svizzera su un presunto riciclaggio di denaro a carico dall'ex premier e del marito. L'istanza potrebbe portare a nuove udienze sul caso, ma non prima degli inizi del 2008.

Nel 2006 Bhutto aveva aderito a una Alleanza per il ritorno della democrazia con il suo storico rivale Sharif, ma i due si erano trovati in disaccordo sulla strategia per trattare con il presidente Pervez Musharraf. Bhutto pensava che sarebbe stato meglio negoziare con Musharraf, mentre Sharif aveva escluso qualsiasi mediazione con il generale.

Bhutto era tornata in Pakistan nell'ottobre 2007 dopo otto anni di esilio volontario dopo che Musharraf, con il quale aveva negoziato sulla transizione del Pakistan verso una democrazia civile, le aveva garantito protezione rispetto ai vecchi procedimenti per corruzione a suo carico.
Al suo ritorno, mentre l'ex premier viaggiava in auto per Karachi, un attentatore si era fatto saltare in aria uccidendo 139 sostenitori e membri della scorta.
Il 26 dicembre, Bhutto aveva promesso di combattere per i diritti dei lavoratori durante la sua campagna per le elezioni generali di gennaio.

lunedì 24 dicembre 2007

Do you believe me?

Mi credi?
inebriano le tue pieghe sul mio viso
i silenzi della mia stanza
attendono tuoi profumi
Teorie di granitica volontà
mi lacerano di bene.
Ascolto i tuoi occhi
non dici ma sento.

Perchè temiamo di non esser all'altezza?
Io della tua e tu della mia.
Dono di attesa
accolgo il tuo passato come bimbo avvolto in fasce
dell'amore che ho da darti.

Il buio scatola accoglie
i desideri d'un domani insieme

Dormirai con me?

Sarai al mio fianco?

Lenta fusione di noi
Tempo fuggevole di ciò che rincorri
Ti dono la mia presenza
Chiamalo sogno
questo connubio d'anime

Lascia che sia

Del domani t'offro impegni
rose, sacrifici e note
per riempirti l'animo.
Mi credi?

Accoglimi piano
raccogli i cocci e danza
Etoile del mio presente.
Questi fiori adornano il tuo viso
Tu sei vita per la mia.


Poesia di San Saldero

domenica 16 dicembre 2007

23:03


In ogni malattia esiste un seme.

Il dolore, la sofferenza, possono essere un viatico verso qualcosa che lascia un segno.

Frida Kahlo, pittrice messicana dei primi del novecento, nasce affetta da spina bifida e, successivamente, è costretta a letto a causa di un incidente automobilistico.

L'immobilismo forzato porta sua madre a metterle uno specchio sopra il letto nel quale è costretta a vegetare.

L'immagine di se stessa sopra di sè porta Frida alla produzione di una serie numerosa di autoritratti.

Lo stato di sofferenza in cui versa non la sottrae (anzi la sprona) da essere rivoluzionaria ed anticonformista. Ha una relaizone con Trotsky e vive una storia d'amore con il pittore di Murales Riva con il quale si posa, divorzia e nel 1940 si risposa nuovamente.

C'è sempre qualcosa di buono dietro qualcosa di male.

sabato 15 dicembre 2007

Attilio Bertolucci


Assenza


Assenza,

Più acuta presenza.

Vago pensier di te

Vaghi ricordi

Turbano l’ora calma

E il dolce sole.

Dolente il petto

Ti porta,

Come una pietra Leggera.

Mon essentiel

Je fais de toi mon essentiel
Tu me fais naître parmi les hommes
Je fais de toi mon essentiel
Celle que j'aimerais plus que personne
Si tu veux qu'on s'apprenne
Si tu veux qu'on s'apprenne

mercoledì 12 dicembre 2007

Alcune cose

Ci sono alcune cose per cui vale la pena di esserci, pensava Montparnasse avvolto nel suo crema cappotto. Il vento gelido spirava come a fargli ricordare delle sue origini scandinave.

Annotava sul taccuino con la custodia di pelle sdrucita. Vediamo...cose per cui vale la pena esserci..sicuramente il mio Oban, con dell'acqua fredda a parte. Il retrogusto di carbone e grano. Tappeto di sensazioni per il riposo dei miei pensieri.


Questo mi fa stare bene, pensava Montparnasse, mentre con le dita ingiallite arrotolava un filtro e del tabacco francese.


E poi vale la pena di esserci per la nebbia che avvolge i silenzi di Edam. Montparnasse passeggiava tra i ponti levatoio, i mulini e le case irregolari. Pensava che vale la pena esserci anche solo per l'idea. L'idea di progettare qualcosa con Ylenia. Compagna, madre e gioco del suo tempo.


Vale la pena esserci anche per il benzinaio che ti parla dei problemi del governo o per tua madre che ti racconta il sapore della guerra.


Montparnasse raccoglieva i pensieri dietro il vetro appannato di Cafè Nero. Pensava a quanto fosse importante esserci per vedere se i suoi figli e i suoi nipoti avranno un futuro migliore. Il futuro non è più quello di una volta. IL FUTURO NON E' PIU' QUELLO DI UNA VOLTA.




Montparnasse è pronto a dare tutto quello che ha pur di esserci. Darebbe via la sua macchina giapponese ed il quadro di Klee ereditato da uno zio bernese. Darebbe via anche soldi, il tempo perso e parte dell'onore, perchè no. A patto di esserci. Di poter vivere questi momenti. Verrà un tempo in cui il benzinaio chiuderà. Il suono dolce della voce di sua madre sarà solo un ricordo come le foto ingrigite dal tempo e dalla polvere. Verrà un tempo in cui anche il whisky avrà un altro sapore.


Le cose cambiano.


Quale è il segreto?


Il segreto?


...


...


Che noi si evolva con loro.

mercoledì 5 dicembre 2007

IKEA




Sono andato all'IKEA.


Credenza Marcus € 299, 7 cassetti capienti.




Dato che i miei sogni nel cassetto non ci stavano più mi sono dovuto attrezzare...

martedì 27 novembre 2007

Caro Babbo Natale


A occhio e croce l'ultima volta che ci siamo sentiti avevo 7 anni e ti chiesi un trenino elettrico con il quale giocai si e no 3 giorni.

Ora anzichè spedire la letterina a Rovaniemi la posto sul Blog. Cazzo, ti sarai aggiornato anche tu, no?

Lasciamo da parte i trenini e le macchinine..ti devo chiedere una marea di cose, ma non so se slitta e renne reggono il peso!

Cominciamo con il chiederti di avere un conto in banca con un po' di soldi.

A 31 anni non si può essere perennemente in rosso. Poi dovresti portarmi anche una sciarpa a strisce visto che quelle dell'anno scorso mi fanno cagare e alcune le ho anche perse dopo che sono andato via dalla casa dove abitavo prima.

Poi vorrei che i miei stessero bene. E che non pensassero alla morte. Vai a spiegare a loro che forse c'è un aldilà. Cattolici, tradizionali. Cosa vuoi dir loro..

E poi vorrei la coscienza di ciò che sto vivendo. Per essere certo di fare bene e di non perdere tempo. Vorrei anche quello. Un po' di più. Per andare in palestra e per impiegarlo con le persone che mi cercano e se lo meritano come mia sorella.

Poi vorrei avere la certezza che non sarò completamente solo quando sarò vecchio. E che Andrea sarà autosufficiente.

Già che ci sei portami anche una catenina con il nome di Marylena. Mi servirà per averla vicina tutte le volte che lei non potrà, per via di sua figlia.

Nel sacco mettici anche tuttte le foto che NON ho scattato nei momenti e alle persone che ora faccio fatica a ricordare.

Se non sono stato particolarmente cattivo (ma sicuramente lo sono stato) butta dentro la slitta anche il viaggio a capo nord che voglio fare da un pezzo e la capacità di affrontare i conflitti come solo gli Uomini di polso sanno fare.

E poi, perchè no, la Champions dell'Inter, un barbaresco Martinenga del '91 e sapere che mia nonna da la ci vede e non è dispiaciuta.

Se ti avanza un po' di spazio mettici musica, libri, film e pensieri che portano all'eccellenza. L'idea di non essere all'altezza mi devasta.

Ora vado a dormire.

Se il 25 mattina non c'è tutto questo...facciamo i conti.

Ciao Zio

mercoledì 21 novembre 2007

Ulisse a Torino



Un omaggio a James Joyce




Ore 8:30, colore azzurro, organo: orecchio-udito


Fillo gira su una due cavalli bordeaux (nel 2007 non ce ne sono più ma si addice al personaggio). Le strade sono semi deserte fatte apposta per andare con la calma e con la distrazione di una qualsiasi domenica mattina. Footing di un uomo con tuta blu sulla destra. Cane che piscia sulla sinistra. L'autoradio gira i Dawn Landes, I Velvet Underground e Ivan Segreto. Sembra leggere nel pensiero di Fillo. Torino non è poi così male se costeggi il Parco Valentino e ti immagini di volare sopra la Mole.




ore 10:00, colore giallo, organo-cervello


Fillo scorre il dito tra i volumi dalle copertine cartonate. Odore di carta e muffa in quella biblioteca di Caselle. Si sofferma su un volume di Svevo fino a farsi inghiottire dall'angoscia della Senilità. Poi scorre via sul mondo di Sofia, sulle storie distratte della Serrano e sull'alchimia di Coelho. Silenzio


Silenzio


Passi lungo i corridoi e il fruscio di un vecchio intento a leggere famiglia cristiana. Sognando di andare a puttane e di evadere dai propri pensieri. Fillo osserva e registra. Legge, sfoglia, impila, cataloga, tasta, annusa e consegna la propria tessera bibliotecaria all'addetta incipriata.




ore 12:30, colore ocra organo-lingua


Layla nasconde i sorrisi tra le foglie di insalata e gioca con i capelli distratta mentre Fillo si imbottisce di un giapponese di cui non è mai sazio. E' la domenica del villaggio senza la malinconia e l'amarezza del Leopardi ma con la voglia di assaporare ogni momento. E i suoi crostini.




ore 15:00, colore viola organo-pelle-tatto


La folla del mercato rionale ricorda la finale mondiale del 2006. Berlino come Collegno. Sciarpe, cappelli, stoffe, pantaloni. Layla sposta lo sguardo veloce, chiede prezzi e contratta mercificando il proprio sorriso. Il freddo è interrotto solo dai neon e dai generatori di corrente che martellano nel frastuono del vocio di quel mercato. Piedi che schiacciano altri piedi. Mani che rubano portafogli, denti che battono dal freddo come il battito del cuore di un uomo che cerca nella pattumiera e di due ragazzi intenti a scambiarsi le anime su quella panchina.




ore 21:00, colore rosso organo-cuore


Si sciolgono i sensi e le inibizioni tra i flutti del Nobile (quello di Montepulciano). L'aria è surriscaldata come gli animi e le passioni che scorrono sotto quelle mani. Il mondo non esiste (dove sono? non mi importa..non sento niente...domani? perchè domani? ora). Fillo c'è e nemmeno uno Tsunami può distoglierlo. Lasciate ogni tristezza o voi che entrate.




ore 24:00, colore verde organo-pancia


Buio. Fillo tiene la testa di Layla come una palla da rugby. Lei abbandonata e sicura e serena. Del doman non v'è certezza ma di Fillo si. Lontano sibila un'autopattuglia. La seta, il cotone, il morbido dello loro spazio. Fillo smorza i rumori per il suo silenzio, per il suo sonno.


Questo è il ritorno nella sua Itaca. Lontani sono i Proci e Scilla e Cariddi non fanno più paura.


Fillo tiene stretta la sua Layla pronto per un'altro viaggio.




Notte


venerdì 16 novembre 2007

23 Novembre

Due lenti re non a caval mi daran un bel dono pregiato






venerdì 26 ottobre 2007

Two gust is megl che uan


Oggi avrei voluito dare fuoco ad un cestino della spazzatura, al lavoro i miei colleghi sono stati vessati da richieste inconciliabili e fanculo pure al canone RAI.


Grazie a Dio il ministro della giustizia è Mastella.

Il Nobel per la pace lo riassegnamo ad Hitler.

La pubblica istruzione a Tarricone.

E le politiche per la famiglia ad Ilona Staller.


Viva l'Italia con un canarino sopra la finestra e l'autoradio sempre nella mano destra.


ventisei

Chi mi conosce bene sa che oggi non può essere un giorno normale.

Il 26.

Il 26 succede sempre qualcosa.

Dovrei giocarmelo o osservare nella numerologia se ha un significato rispetto alle coincidenze ricercate che rimedio io.

26. Giorno di compleanni. Di matrimoni. di decisioni. Di partenze e arrivi.

Oggi è il 26.

Oggi ho realizzato che ho degli stati d'animo agitati, confusionali, esigenti e forti.

Bella scoperta, mi direbbe Nick. Sai che novità. E già...non è una novità questa.

Ma finchè rimane un retropensiero (a proposito come si dice l'equivalente del retrogusto ma per una sensazione persistente dell'odorato?) rimane lì.

E' quando lo butti fuori. Ne parli con le persone che ti stanno intorno che viene fuori l'aria più vera.

Giusto? Sbagliato? Destra? Sinistra? Bianco? Nero? Starsky? Hutch?

Ma un bel "che cazzo me ne frega?" ce lo vogliamo mettere?

E' così.

Oggi è il 26.

Ora l'oracolo di Delfi (pseudonimo) sa quello che penso di lei. Sa le cose che mi fanno stare male e quelle che vorrei per sentirmi amato.

E siccome sono un fottuto egocentrico del cazzo è giusto che sappia cosa mi fa stare bene.

E' così.

E' il 26.

martedì 23 ottobre 2007

Avanti popolo


Che senso ha la resistenza?

Opporsi al tempo, al dispiegarsi delle trame del destino.

Che senso ha resistere alle passioni, ai dolori violenti degli stati d'animo animali?

Bestie incatenate. Il domatore esercita il potere a cui tendiamo lo sguardo.

Che senso ha cercare un freno al proprio Io?

Fa star male, fa stare bene ma parla di noi.

Della nostra storia. Delle ferite, di quanto siamo stati e del biglietto da visita che amiamo ed odiamo presentare.

E' giusto resistere? Non esiste un Io migliore. Esiste l'Io con le sue paure e le sue stelle.

Domani gli metterò un bel vestito, capelli in ordine e scarpe lucidate e mi dirigerò al concorso.

Spero di fare brutta figura.

Di prendere un quattro per la gelosia. La fretta, l'idealizzazione. La testardaggine di pietra. L'orgoglio ferito e accantonato più volte. L'eccesso di zelo. L'autostima malcelata.


Per l'incontrollabilità degli stati d'animo.


Così è se vi pare

(quest'ultima frase non è mia...deve essere di qualche siculo di quelli che mi stanno intorno)

lunedì 15 ottobre 2007

Blog Action Day - Ambiente



il 15 ottobre è il Bloog Action Day.


Tema: l'ambiente.


Che dire? Che scrivere?


Un articolo dice "scrivete qualcosa che sia attinente al vostro blog sul tema ambientale.


Il mio blog sono racconti, pensieri, poesie e tutto quello che mi passa per la testa.


Quindi un post sull'ambiente potrebbe cominciare più o meno così...l'acqua del ruscello di Garessio. Un giorno mi sono fermato con Turi, il Rosso e Diego e berla dalle mie mani. Diego mi dice " Ma sei matto? Qua dietro c'è lo stabilimento della Lepetit...sarà inquinata!" "Figurati" dico io "sono abituato alle porcherie che ci sono a Milano...quest'acqua è buona. Si vede".


E via.


A quell'epoca ci si crede immortali.


14 anni e la convinzione che il tempo sia una cosa degli altri.


Degli adulti.


A noi interessava correre e ridere. Poco altro. Correre e andare in bicicletta per la Val Tanaro. Su e giù da Valdinferno. Fermarsi a campeggiare nei prati. Sentire la testa appoggiata sul morbido ed umido dei fili d'erba che non si levano dai pantaloni. Correre e strappare le piccole spighe per poi tenerle in bocca o farle scivolare nei maglioni. Oppure sentire il Marino. Il vento che arriva da sud.


Dal mare.


Che scuote le lenzuola stese e che scompigliava i capelli di mia nonna.


Il vento che porta l'odore di umido dei funghi. Gli stessi messi ad essicare al sole. Quello caldo. Buono. Che ti guarda da dietro il colle e ti bacia la testa mentre sei sdraiato ad ascoltare la musica che senti dentro di te. La musica che ti viene perchè sei in armonia con quello che ti sta intorno.


Lasciare la bicicletta sulla ghiaia che costeggia la piccola diga e poi tuffarsi con le mutande nel fiume freddo come marmo. Il respiro che ci viene a mancare e il muschio sotto i piedi.


E poi scappare fino in cima a quella montagna sul colle di Casotto circondati dai castagni e dai fiori bianchi del rododendro.


Oppure farsi dondolare da un locomotore destinazione mare. Scogli caldi ed inospitali. Il sale che fa tirare la pelle e la sabbia nei pantaloni quando sei lì che ti baci e vorresti che il domani non arrivasse mai.


Questo è il mio ambiente.


E vorrei che fosse tale anche per Simona e Andrea (i miei nipoti)

mercoledì 3 ottobre 2007

L'Etoile


23:26. Le voci di una tribuna elettorale. Clown, nani, ballerine.

L'etoile entra in scena. Volteggia e scompare nel nero della notte lattiginosa.

Clacson, ambulanze, lavaggio strade. Asfalto che copre ogni cosa.

Il silenzio assordante dei netturbini infreddoliti.

Che senso ha questo tempo vissuto?

Caffè bruciato che inonda le stanze. Mischio i fogli alla rinfusa

rincorrendo un tempo di note, parole e desideri

Ancora lei.

Torna in scena la dea di mille pianeti.

Profuma di fiori e lascia una scia. Cometa di vita e battiti.

La gente dorme noncurante della morte lontana.

Butta il tempo tra mutui, fiction, discorsi vuoti, condomini di ghiaccio.

Ma chi l'ha detto che è questo quello che Vi aspetta?

Mi inciprio il viso. La bocca rossa deformata, il naso di plastica.

Fingo un mare di perbenismo per la farsa dei benpensanti

Fino a che arriva lei.

Il domani dei miei sogni.

Tappeto volante tra le pieghe di granito di questa città.

Mare freddo e nero, ma senza confini.

L'etoile si inchina al pubblico senza scomporsi.

Riceve rose, lettere e baci lanciati.

Dietro al palco solo io.

Sipario.

Senza titolo III


Balugina ancora Giove
In un tetto di mille e mille stelle.

eppure tu tieni ancora le dita fra le labbra
colori il cielo di viola sul carbone
tratteggi la dea della salute.

Il circo alza il suo sipario
avviluppa al cielo la cortina
orde di buffoni turbinanti
le bestie strette dalle morse
incede con pietà il nobile
costringendo la pecora al belato
l’inutile rovina del pastore
il siero e il latte fresco.

Non tu, non io
danziamo come sempre
nel offuscato dei passati.

I passi doppi sulla battigia
il precipizio e le mie corde
la temporanea salvezza.

Cademmo insieme o forse no,
caddi io prima del cedimento

e tu: fischiettavi la canzone
il ritornello dell’eterno momento
la ritrazione del tempo e dello spazio
l’incontro fra farsa e l’intelletto.
Poesia di DDG

Senza titolo II

Dietro la porta guaiva,
tremava per l’assenza
o per le grida dei pagliacci
per i loro pasto, offerto
oro e uva passa, pochi avanzi

ma era festa, la tua
glorificavo il tuo sesso
l’incensavo,
solitaria e notturna abluzione
la mia dico, non di certo tu
ma il sacrificio dei corpi

fuori i tamburi e le fiaccole
un circo di grassi equilibristi
la donna cannone e la scimmia

Non cademmo mai,
forse un solo schianto?
Un clamore al ventricolo.

I barboncini composti al cerchio
saltano, per uno zuccherino
la piccola truccava l’infanzia
sul viso di una bambola
e tu in equilibrio sul filo
in mano il bilanciere
non facevi che venir giù
capace solo di rovine.

Una flemmatica salvezza:
l’iride e i cinque colori,
il triangolo e il quadrato
la grammatica e l’aritmetica.

E invece solo cedimenti
il sorriso beffardo dell’ateo.

Non merito un addio
Non un respiro.
Poesia di DDG

Senza titolo I


Il ritorno è un mito
ucciso il primo re ne muoiono altri due
non senza dolore, il dolore è un tempo
una battuta d’ali, una migrazione incosciente
sconosciuto il significato delle parole,
ordinario il senso delle cose, sfiorato.

Tentando nuovi sensi, il fraintendimento
nuove danze e nuove traiettorie
non perderemo i lupi o le falene
non cassiopea, non il ghiaccio.

Questi mesi: una prigione della sorgente
incatena il nobile al banale
e tu amore non porgi una guancia.
Ti donai il mio petto, il sudore insopportabile
dell’estati irritate dai tuoi odori.
Un Icaro rallentato il mio pensiero
ora distante dalle leggi dell’universo
ora tragico lamento di cera.

l’apparizione senza luogo, spazio,
sai che male fa amore mio
essere stato il primo e ora immemore
fra i ricordi dei tuoi incontri.

Vale un cenno la mia parte? un delicato saluto?
Una manina bianca che distratta s’agita?
non una parola, non una sedia, uno sguardo
un vetro divelto, un incastro di Alessandro
un fil di ferro da conficcarti tra i capelli.

Non si cava acqua da un pozzo inaridito,
mi incoraggi alla lontananza
all’intemperie dell’umore.

E, riconosco i segni e,
cedendo distratto alla recitazione,
dirò: “giusto così, la pecora col pastore,
la svolta di destra…”
tra sussurri, le grida,
le memorie del sacro.


Poesia di DDG

lunedì 27 agosto 2007

Cirillico


Ti amo.

forse da appena ti ho conosciuta

dormivi ed io t'osservavo sdraiato al tuo fianco

ho bisogno della tua pelle e della tua luce

Ti amo perchè è una continua morsa allo stomaco

vibrazioni e respiri che mi bagnano gli occhi

sei il punto d'inizio e di arrivo di ogni mio giorno

Amo i tuoi colori, caldi e profumati come la casa in cui ci siamo amati

Amo vivere al tuo fianco e seguirti come un'onda muore su uno scoglio

Lascio ai poeti, ai cantanti, agli scrittori di fama

trovare un modo che sia alto

per descrivere ciò che provo per te.

Ti basti sapere che sei un'essere speciale.

Sei la compagna delle mie notti e l'amante nascosta

colpita dai miei sguardi insistenti.

Ti amo perchè mi dai modo di illuminare ciò che mi aspetta

Lascio agli esperti, agli amanti illustri, ai filosofi d'ogni tempo

capire perchè t'amo senza condizioni.

Ti basti sapere che per te sono pronto a sfidare ciò che ognuno può temere

esserci, sparire e poi tornare per amarti

e parlarti

e parlarti

Lascia che la mia voce ti segua in ogni dove

Cullati e seguimi.

Sono qui per amarti.

Ti amo.

sabato 25 agosto 2007

mercoledì 22 agosto 2007

Virgilio (Eneide, XI, 309)




Spes sibi quisque.



..si questo potrebbe andare..
Insieme al tatuaggio del leone.

Un "uno" con lei

E' come aver avuto una illuminazione

E' come se tutta la gente intorno, applaudisse e non so cosa ho fatto per meritarmelo
Un giorno d'estate col mare che si avvicina solo per ricordarti che vale la pena
stare lì ancora un po'cullati dalla risacca scaldati dagli ultimi raggi del crepuscolo

Non voglio lasciare questo posto per niente al mondo

Ed è forse per questo che fantastico mille modi in cui potrei perdere tutto

La scia di un'asteroide
La perdita di ogni memoria
Il buio che inghiotte ogni cosa



Ho paura di perdere quel mare che mi inonda

Pensiero stupido per cui varrebbe la pena non pensare


Il cuore sale di volume


vorrei trovare un modo per fermarlo

per evitare un danno, quando tutti lo aspettano


Aspetto la notte più del giorno per il suo caldo e la sua voce che filtra nel buio
Il suo viso che cerca di entrare in me

che vorrei già essere ogni cosa per lei

So di esagerare

Quindi
Ora torno normale


ma solo per un minuto


perchè poi voglio tornare ad essere un "uno" con lei.

giovedì 16 agosto 2007

Come due faine - parte III

Seduto sul bordo di un marciapiede, dopo quaranta minuti di inutile girovagare con lo specchietto retrovisore del rivale in tasca, decise che era arrivato il momento di aprire la lettera che Daniele gli aveva mandato da Kabul, due giorni prima che succedesse l'irreparabile. Era arrivata insieme alla notizia che gli aveva spento per sempre un terzo della sua capacità di sorridere e non aveva mai voluto leggerla, mai prima di adesso. Quella lettera, e il dolore che avrebbe suscitato, era assimilabile alla sbronza triste di un alcolista: avrebbe voluto bere anche lui, ma aveva speso gli ultimi contanti per i biglietti di quel cazzo di concerto. Se doveva stare male allora, almeno sarebbe stato male ripensando al suo migliore amico e non a quella sciacquetta. Aprì la busta con la mano tremante: era leggera, Daniele d'altronde non era tipo di molte parole e la missione doveva averlo sciolto un po', ma non troppo in fondo. Un solo foglio, poche righe scritte storte: le lesse una seconda volta per essere sicuro e poi scoppiò a ridere senza accorgersi che stava bagnando il foglio con le sue lacrime.


"Carlo? Daniele sapeva tutto di Claudia" pausa dall'altro capo del cellulare, rutto di Carlo, sospiro "E doveva dirtelo quel coglione perchè ci credessi?". Clic.
"Poteva essere una giornata peggiore" si disse quindi mentre svoltava l'ultimo angolo prima di casa con la lettera spiegazzata in tasca ed il suo amico che lo sfotteva nella testa.



"Pirla, va che Claudia ha di sicuro un altro: secondo me è il terrone con le trecce! - Daniele".
Non aveva più una ragazza forse, ma di certo ora era sicuro che non sarebbe mai stato più solo.

Come due faine - parte II


"Si scopa un altro!", sentiva rimbombare nel casco mentre sgusciava agile sulla circonvallazione. Forse aveva ragione Carlo: alla fine Claudia non era mai stata la fidanzata d'Italia e l'ultima cosa che si potesse dire di loro era che fossero una bella coppia. Per qualche osservatore distratto forse non sembravano neppure una coppia. Una volta aveva provato a cronometrare il tempo che lei gli dedicava in una serata passata in gruppo: alla fine aveva stimato un mortificante 8,7%.
Claudia trovava sempre tempo per una confidenza con le amiche, per una battuta con il cameriere del locale, per una telefonata alla mamma rompipalle per dire che sarebbe tornata in orario: alla voce fidanzato, o qualunque cosa fosse per lei, veniva allocato solo un bacio leggero a inizio serata ed uno più deciso, ma troppo spesso di maniera, a fine serata. Nel mezzo, tutto il mondo!
Era arrivato quasi in centro quando tutti questi pensieri gli si fecero chiari una volta per tutte e decise di fare inversione e tornare a casa di Claudia: stavolta lei avrebbe dovuto decidere una volta per tutte cosa contava davvero. "Tra i vari interessi che hai, dimmi che posto mi dai!" cantava Vasco Rossi: quella canzone nemmeno gli piaceva, ma non poteva fare a meno di sentirsela in testa mentre zigzagava veloce nel traffico e rise di gusto pensando a quanto la sua vita in fondo fosse una lunga somma di clichè.


Cavalletto, cinturino del casco aperto e catena alla ruota: dieci secondi netti, nuovo record di Milano sud. Il vero mago era Daniele che nei dieci secondi infilava anche l'accensione della sigaretta e un paio di tiri alla James Dean. Mano sudata asciugata nervosamente nel jeans stinto e dito sicuro sul citofono: se fosse stato un film ci sarebbe stata un sottofondo della canzone romantica in voga al momento, lei sarebbe scesa con i capelli in disordine, ma comunque bellissima, avrebbe fatto una resistenza di facciata poi gli avrebbe preso il casco dalle mani e sarebbero sfrecciati verso l'inizio ufficiale della loro storia.
La scena, decisamente troppo melensa, si interruppe improvvisamente nella sua testa: "Allora sei sordo: ti ho detto che non posso! Adesso lasciami stare che poi perdiamo la concentrazione!" gracchiò impersonale il citofono. Passarono trenta lunghissimi secondi. Si rivide con il giubbino nero alle elementari mentre partecipava ad una delle tragiche gare di coniugazioni di verbi organizzate dalla sua maestra: "Chi mi dice il presente del verbo perdere?". "Io perdo, tu perdi, egli perde, NOI perdiamo, voi perd..."...."Perdiamo" era decisamente prima persona plurale, ma in teoria Claudia era da sola a studiare: "Scusa Claudia, ma in che senso perdiamo? Con chi sei?"
Il silenzio che ne seguì gli bastò per vedere che sul marciapiedi c'era un altro motorino, nero fiammante e, volendo, un po' tamarro. In grammatica non era fortissimo, ma in matematica se l'era sempre cavata: improvvisamente gli fu tutto chiaro. Nel palazzo di Claudia vivevano solo pensionati e francamente non ci vedeva il signor Recalcati a fare le penne sul ponte della ghisolfa: in più quel motorino lo conosceva. Lo vedeva sempre quando andava a prendere Claudia in biblioteca e, sforzandosi un po', ora vedeva anche il suo proprietario: Claudia lo aveva salutato un paio di volte di sfuggita in sua presenza e lui gli aveva sorriso con quella che adesso più che mai giudicava una gran faccia da cazzo. Trecce da barbone, trasandato il giusto e pure milanista come testimoniava l'adesivo della Fossa dei Leoni sul fanale davanti: ora si ricordava che Claudia e la sua amica Fede parlavano sempre di quel misterioso personaggio che le fissava in biblioteca. "Chissà cosa vuole quello sfigato?" dissimulavano, a questo punto ne era certo "Se non la pianta lo dico al bibliotecario" minacciava addirittura Federica: inutile dire che lui si era bevuto tutte queste schermaglie senza chiedersi il perchè della loro insistenza sull'argomento. Claudia interruppe bruscamente i suoi pensieri tagliando corto "Non sono fatti tuoi e adesso lasciami in pace!".

Come due faine - parte I

"Poteva essere una giornata peggiore" pensava mentre tornava a casa sul vecchio motorino, unico ricordo del suo amico Daniele, partito per l'Afghanistan con gli alpini. L'adesivo sul serbatoio rimandava all'ultimo scudetto dell'Inter: quel bollino scolorito, le figurine di Mandorlini e Brehme, insieme alle sue penose condizioni davano un'aria quasi vintage a quell'autentico miracolo della meccanica. Miracolo perchè come tale veniva trattato quando si accendeva nel cortile di casa e la portinaia si faceva il segno della croce snocciolando Ave Maria a mezza voce: "Adesso la pianta di bestemmiare a ogni colpo di pedivella" pensava la poveretta, cintura nera di pellegrinaggi con l'UNITALSI.

"Non so se mi va di uscire stasera" gli aveva detto Claudia quella mattina, mentre giocando con il cellulare cercava di dissimulare l'imbarazzo. "Ma come non ti va di uscire, è un mese che ho preso i biglietti per 'sto concerto e poi sto Biagio Antonacci mi fa pure cagare!" stavolta gli stavano davvero cadendo le braccia "Devi studiare? Ma se l'esame tanto non lo vai a fare giovedì?". "No che non capisco: capisco solo che ho speso 80 Euro per uno che mi fa cagare e che ho litigato con i miei amici perchè saltavo la semifinale del torneo! Enrico nemmeno mi parla più!". Nel pieno della sua rabbia il guardalinee, nella forma liquida delle lacrime di Claudia, aveva sbandierato per l'ennesima volta: fuorigioco! Azione fermata e palla alla difesa per la ripresa del gioco. "Vabbè dai, lo so che sei stressata! No, la conosco tua madre che poi te la mena: vabbè, tu fammi uno squillo quando vuoi fare pausa e io volo qui." Boato degli spalti e sciarpata finale: tra le mura amiche vinceva sempre lei.

"Si scopa un altro!" le parole erano arrivate insieme alle briciole del panino che Carlo stava avidamente ingurgitando: lo aveva detto sicuro, guardando nel vuoto. La profondità di quella frase era stata per la verità preannunciata da un rutto clamoroso, quasi come il tuono per un temporale estivo: poi un morso sproporzionato al panino e infine, tra un boccone e l'altro, la chiosa. "Stasera vieni da me a giocare alla Play?".

Grande Carlo, tra la prima legnata e il cortese invito erano passati solo un sorso di Coca, un altro rutto, ma soprattutto tanta, tanta naturalezza. Non è che a Carlo non fregasse nulla degli altri, ma questo lo sapevano solo in pochi, forse solo lui. Era stato il primo ad arrivare alla camera ardente e aveva passato un'ora piegato sulla bara del suo amico: sembrava impossibile che quattro pezzi di legno nascondessero per sempre così tante cose.

L'università fatta col freno a mano tirato, le vacanze al mare, il calcetto, le litigate col padre, le sere d'agosto al chiosco in viale Umbria, le partite di champions dove tutto contava tranne che la partita, tutto il bene che gli voleva e che forse le risate insieme non avevano mai dimostrato abbastanza. Forse pensava a questo mentre inondava la cravatta con Zio Paperone, quella delle grandi occasioni.

Apoteosi quando uscendo incrociò il colonnello della brigata di Daniele e proprio mentre questo gli porgeva la mano altero lui gli fece la finta si passò la sua tra i capelli. "Ma vatti a infilare la penna nel culo, bastardo!", aveva detto prima di sparire per una settimana.
Non ce l'aveva con il militare, ma con Daniele: quella sera gli aveva detto, ovviamente sputando le briciole di un panino, "Basta che non ti fai ammazzare, brutto coglione!".

lunedì 13 agosto 2007

Mi sento che ho vinto qualcosa...


Ditemi quello che volete.
Ascolto tutti i vostri consigli ma credo di essere abbastanza incosciente per poter decidere di che morte morire da solo.
Non mi serve nulla in questo momento.Mi basta sapere che domani la rivedrò e che passerò un'altra notte insieme a lei.
Mi basta sentire "hei maz" detto da Saro per capire che c'è qualcosa di grande nell'aria.Mi sembra di essere atterrato da un'altro pianeta.
Non ho nemmeno pagato il biglietto e c'è un mucchio di gente che è pronta a farmi festa.
Felicità.
Non so da quale dizionario possa aver trovato questa parola ma di sicuro mi fa star bene e cerco di tenerla con me.
Ogni secondo.
Milano è deserta. Mentra la gente è in coda per cercare un divertimento forzato io mi sento bene con quello che è intorno.
Scusatemi se è poco.
Fra poco partirò.Non so per dove. Ma so che partirò.I preparativi sono già iniziati.
Non voglio sentire nessuno che mi dica attento. Vai piano.
Voglio andare veloce.
Voglio superare la barriera del suono.Voglio che la gente abbia un giramento nel vedermi passare.Domani forse mi pentirò di non aver ascoltato quei consigli.
Ma voglio cadere con le mie gambe e ripartire. Per sentire cosa vuol dire raggiungere il traguardo con le proprie forze.da solo.
Ringrazio Dio o qualcosa o qualcuno che mi guarda dall'alto per ciò che mi è arrivato.Prometto che farò tutti i compiti.
Pagherò le bollette e mi impegnerò sul lavoro.Sarò un boy scout..ma non toglietemi tutto questo.Scenderei a patti col diavolo per tenermelo stretto.

Sono contento.

Andiamo a Berlino..andiamo a Berlino

venerdì 3 agosto 2007

Nouera cambia volto


Presa decisione:

Nouera non sarà solo più racconti..
perchè Nouera è ME

e siccome io cambio

cambia anche Nouera...ci butterò quello che mi passa a 1000 all'ora per il cervello.
Magari no frega a nessuno
Magari era meglio prima

Magari.
A me va bene.

E per chi non l'avesse capito mi gira bene così.
Il biglietto ce l'ho..per favore non fatemi scendere..

Saluti

eccoci qua


...eccoci qua. In circolo c'è il Nebbiolo del buon Luigi di Alba. Mannaggia a lui e ai suoi baffi. Per colpa sua anche stasera mi tocca viaggiare con il pensiero e lasciarmi trascinare da quello che provo.

Fuori tutto è silenzio. Ci sono quelli che pensano a partire, quelli che tornano, quelli che vorrebbero andarsene ma non hanno il coraggio e quelli che fanno baldoria mentre la moglie al mare con i bambini. L'estate è puttana. Pagheremo il conto solo dopo aver consumato.

Bene. Io qua fermo in casa. Sade in sottofondo. C'è persino l'aria che passa dalla finestra aperta e sembra chiederti il permesso per tenerti compagnia. Merce rara da queste parti. Per un monolocale sovrariscaldato persino questo è magia.

La stessa magia delle note che ti cullano. La stessa magia di un sms di un amico che ti dice che ti vuole bene o che semplicemente ti ha pensato.

La stessa magia che mi aspetta quando domani porterò mia nipote fino in cima a quel borgo per poi raccontargli di un mostro del castello.

Bene così.

E non posso non pensare a lei. Sicuramente farò male esattamente nello stesso modo in cui lei mi fa stare bene.

Luce. Luce. Sento la musica. Ma non è quella che sta facendo svegliare i vicini ma qualcosa di più forte che viene da dentro.
Chiudi gli occhi e immagina un paese in messico con la gente che balla. E sotto i piedi la polvere mossa dagfli stivali e dai sorrisi della gente che si stringe e si giura di esserci sempre. Anche se sa che non sarà così.
La luna ci osserva. Si è messa d'accordo con le stelle e fra soli 7 giorni nella notte di San Lorenzo ci farà sognare ancora di più.

Felicità è fatta di attimi.
Questo è un attimo e mi basta così.

Via...

lunedì 18 giugno 2007

Garessio

Chi non ci è stato non può certo capire.
Garessio è un paese di 3.500 anime a cui sono legato per tanti motivi.
E' da lì che arriva il dialetto e le tradizioni contadine di mia madre.
All'età di 9 anni ricordo il lattaio passare in bicicletta con la cesta e le 6 bottiglie bianche di vetro.
Ricordo mia nonna passarci il cucchiaio di legno per togliere la panna e lasciare che mia sorella ci passasse il dito dentro.
Fragrante.
Come il rumore dei funghi secchi stesi ad asciugare al sole.
Quando il sole spuntava tra il colle San Bernardo e la VaLdinferno l'unica cosa da fare era
prendere la bicicletta e correre lungo la statale, verso il Tanaro e poi su verso il borgo vecchio.
Non c'era nessun appuntamento.
Il pomeriggio passava nei giardini verdi e umidi a raccontarsi.
E a giocare a pallone.
Le partite interminabili.
Appena di ritorno a casa c'era giusto il tempo di togliersi
la polvere dai calzoncini corti e persino dalla testa per sedersi a tavola.
Dalla tavola di casa mia si vede ancora oggi un piccolo roseto e le montagne poco dopo.
Salvia. Lattuga. Pesche e ambrogini (che sono delle piccole susine).
E una montagna di ciliegie.
Ricordo mio nonno con i pantaloni sdruciti e lisi arrampicarsi sulla scala arrugginita tra le raccomandazioni
di mia nonna e l'ammirazione mia e di mia sorella.
Il cesto di vimini carico dei frutti rossi era un rito.
Come la semina sempre in prossimità del novilunio e le conserve di prugne nei barattoli di vetro e le etichette di carta. E sopra quelle etichette la data ed il frutto trascritto da mia nonnna con la sua calligrafia incerta e poco abituata.
E poi le api. La fontana di pietra dove l'acqua "è sempre la più buona" anche se io non ci ho mai sentito alcuna differenza con quella di Milano.
Forse perchè io sono troppo cittadino.
Forse perchè io ormai mi sono abituato all'acqua in bottiglia.
Al traffico e all'aperitivo.
Agli sms e al cemento grigio duro marmo.

Perchè ho scritto tutto questo?

Non lo so.

Siamo nel 2007 e sapere che queste cose le ho fatte mi fa stare bene.
Punto.

domenica 17 giugno 2007

raffasarovividani

Cercherò di scrivere un pensiero molto chiaro.
Lineare.
E' meglio che eviti di usare parole difficili.
O periodi troppo lunghi.

Altrimenti Raffaella non capisce.

Anche perchè quello che voglio dire è molto semplice.
Quello che voglio dire è: (due punti a capo)

"VOGLIO BENE AI MIEI AMICI"

questo non è un racconto.
E non è una finzione.
Niente personaggi strani o finti.
Solo uomini e donne in carne ed ossa. Con un nome.
Saro, Danilo, Viviana e Raffaella.
Io voglio bene a loro.
Non serve scrivere niente altro.
Basta questo.

e se non è chiaro così...

lunedì 4 giugno 2007

L'uomo bendato


L'uomo bendato seguiva il rumore dei passi della gente intorno a sè.

Riusciva a distinguere l'andatura dell'uomo di affari dal profumo acre dell'inchiostro del sole 24 ore e si inebriava al passaggio delle note di muschio bianco che partivano dal collo di quelle donne.

La benda gli copriva il viso dalle sopracciglia fino appena sopra il naso.

Avrebbe voluto togliere quegli 80 cm di cotone e poter vedere il luogo da cui proveniva il dolce e caramellato flusso delle brioches appena fatte.

Essere in grado di dare una forma al viso da cui provenivano quelle voci oppure cogliere tutte le sfumature del giallo e del rossodi quelle foglie che sentiva solamente sotto le sue scarpe di cuoio.

Ma nulla.

Non si poteva fare.

O almeno doveva succedere senza che lui decidesse.

Indovinava il percorso davanti a sè e ormai aveva imparato a non esitare.

Il suo incedere incuriosiva i passanti, colpiti da quell'uomo senza sguardo.

Era partito da Puento de la Reina con uno zaino leggero in cui custodiva una scatola di cartone pochi oggetti raccolti lungo il percorso. Macinava chilometri convinto che sarebbe successo prima o poi.I paesi scorrevano veloci come in una pellicola in un cinema di provincia.

Il profumo dell'eucalipto a Burgos,l'umido e il muschio della pioggia di Leon.

E poi il sole.

Filtrava tra le pieghe delle bende come a dargli una ragione per proseguire.Le ossa scricchiolavano sotto il peso dello zaino ormai carico di ricordi e le gambe e le braccia erano segnate dalle sbucciature e dalle botte di quelle rocce a cui non era preparato. Di quei buchiin cui inevitabilmente si era trovato senza poterli schivare.

In almeno un paio di occasioni si era fermato a ristorarsi dalle fatiche dei sentieri polverosi e si era trovato a pensare a rinunciare di proseguire.

La voglia di guardare oltre si affievoliva e solo le parole dei viandanti al suo fianco, solo il pensiero di ciò a cui aspirava da tempo lo spingevano ad andare oltre.

Continuò a camminare ben oltre il punto in cui all'inizio aveva pensato sarebbe stato il suo arrivo.

Dopo giorni, mesi forse anni di cammino riuscì a sentire il profumo del mare che si increspava davanti a lui.
Il fruscio della schiuma delle onde ed il rumore sordo gli ricordavano ciò che aveva solo fino a quel momento immaginato.Il vento soffiava sulle bende.

Gli schizzi di acqua salata gli inumidivano i capelli impolverati.

Tra le mani teneva stretta quella scatola di cartone. Il bagaglio di una vita. L'unica cosa che gli aveva permesso di arrivare fin lì.

La teneva salda, vicina al suo petto e le bende presero a sciogliersi su di essa.

Davanti a se ora la luce del tramonto bagnava la spiaggia di Fisterra.

L'uomo bendato era in grado di vederla.Prese a sorridere. Scagliò quelle bende nel punto più lontano davanti a se.

E capì che da allora non avrebbe più rivisto quel buio.


L'uomo bendato ricorda con nostalgia quelle parole che gli venivano ripetute ad ogni piccolo borgo in Galizia e che, da allora continua a ripetere a se stesso, senza fine:


ULTREYA
SUSEYA


Ultreya deriva dal latino e vuol dire "sempre più avanti". Suseya significa "sempre più in alto".Entrambi sono il migliore augurio che si può ricevere e dare lungo il Cammino di Santiago.

Ma non solo.

sabato 2 giugno 2007

Anestetico Vitale

Cuore,
dottore asporti pure non sono mai stato portato ad amare
Rene,
ne lasci solo un pezzo mi serve quando vengo colpito basso
Polmone,
lei sa che cosa fare mi fermo troppo spesso per respirare
Stomaco,
dottore tolga il tutto da troppo tempo digerisco ogni fastidio

Somministri pure anestetico vitale
voglio diventare insensibile al dolore
Chiedo rimanere sotto lunga osservazione
addormenti pure ogni forma di passione

Fegato,
io non ne ho mai avuto
Milza,
mi fa male quando è in uso
Occhio,
ho già visto abbastanza
Orecchio,
ha una grande importanza

Somministri pure anestetico vitale
voglio diventare insensibile al dolore
Chiedo rimanere sotto lunga osservazione
addormenti pure ogni forma di passione

Somministri pure l’anestetico vitale
addormenti pure ogni forma di passione ogni forma di dolore
… ogni forma di dolore
… ogni forma di dolore

http://sharebee.com/ef0f3ceb
Il Nucleo
Album: Meccanismi

venerdì 1 giugno 2007

Dove vuole andare?



Saremo stati una trentina. Forse anche qualcuno di più.
Quella agenzia viaggio sapeva di moquette bagnata e carta patinata.
La fila dietro di me era pari a quanti mi precedevano.
Alle pareti solo scritte nere su sfondo bianco con bella calligrafia facevano da culla ai pensieri.
Il commesso all’inizio della fila aveva un sorriso strano e osservava tutti quelli che gli capitavano di fronte con le richieste più strampalate.
Quella era l’unica agenzia viaggi di Nouera.
Ed aveva una caratteristica: si poteva viaggiare nel tempo.
Mano a mano che la fila si riduceva sentivo le richieste degli altri viaggiatori. A volte sussurrate a volte gridate con tutto il fiato in corpo. Ognuno si rivolgeva per quel tempo che aveva perso o che voleva ritrovare.
Fred, uomo sulla settantina con gli occhi lucidi come perle di vetro, voleva indietro i suoi 20 anni e quella capacità di sentirsi vivi, morire e poi ricominciare come solo nelle poesie di Cesare Pavese si può ritrovare.
Maria Lucia, galiziana, con un filo di voce chiese di poter essere di nuovo nell’esatto momento in cui conobbe lui e che da allora non vide più.
Venne il turno di una donna splendente. Lucida come un sole d’acciaio. I capelli inondavano la stanza e dal suo viso si indovinava un pensiero. Quella voglia di capire come sia possibile trovarsi dai 18 ai 30 anni senza avere il tempo di accorgersene.
L’agente di viaggio ascoltava con sguardo attento le sue parole.
Le parole le uscivano confuse come confuso era il cammino che cercava di indovinare davanti a sé.
Lasciò il posto a Diego che iniziò a raccontare il suo desiderio di riallacciare il rapporto con Valentina. L’ultima volta che la vide era una bambina alle prese con i compiti ed il primo bacio. Ed ora era una donna meravigliosa e, come lei, sua figlia. Quella nipote che Diego non aveva mai conosciuto da quell’estate che si allontanò dalla sua compagna, madre ed amica di Valentina.
E poi molti altri.
Una coppia chiese di tornare a quell’attimo in cui si conobbero e lui la corteggiava come l’unica donna al mondo.
Un bambino chiese di tornare qualche mese indietro nel pieno delle feste natalizie.
Un altro ancora alla fine della guerra.
Le voci mi rimbombavano come colpi su una pentola.
Io vorrei tornare..
Io vorrei rivivere quel momento..
Io invece..
Io vorrei…essere…rifare…riprovare…tornare in quell’istante in cui..
Voci..voci..
Nei cataloghi le foto di quell’estate, di quel momento felice, di qui giorni importanti.
Ogni cosa aveva un prezzo proporzionale al rimorso o al rimpianto dell’errore o della viltà o dell’indolenza di non aver affrontato quel momento.
L’uomo che mi precedeva ascoltava con malcelato interesse tutte le richieste di quella fila eterogenea e chiassosa nei sentimenti e nelle voci.
Si voltò e mi osservò.
Finsi di non incrociare il suo sguardo, fumai in barba al divieto e al rispetto degli altri.
Fissavo la punta delle mie scarpe ma sentivo il suo sguardo al centro della testa.
“Lei dove vorrebbe andare?” chiese
“Scusi?” dissi io
“Lei è troppo giovane per poter rimpiangere qualcosa..non crede?”
“Non lo so..so che sono qui perché vorrei tornare in quel momento in cui..”
E prima che finissi, incalzò:
“Lo so…. ai giorni passati a Bologna, a quel appartamento tutto polvere e musica, al giorno del suo matrimonio, a quelle parole non dette con Tiziana e poi…e poi…”
“Ma lei come fa a sapere tutto questo?”
“Bhè, diciamo che ho barato”
“Sapevo che ti avrei incontrato qui…e ho chiesto, diciamo fra cinquant’anni a partire da adesso, di ritornare a questo momento”
“Ma come…..quindi lei è…anzi lei..io..sono”
“Si”
“C’è buio davanti ma c’è un mare di cose che ti aspetta…le cose arrivano senza doversi guardare troppo indietro. Fidati ragazzo”
Presi a fumare un’altra Galouise. Uscii dalla fila. Sorrisi alla galiziana, alla donna splendente e a Diego.
Presi un gelato.
Ieri ormai è passato.
Domani…
Ci penseremo domani
.

mercoledì 30 maggio 2007

Seneca



C'è bisogno di una prova per conoscersi;


nessuno sa quel che può se non sperimentandosi

Polvere di stelle


Fossi stato capace ti avrei spaccato la faccia.
A Naxos era magico ma i tuoi occhi avevano una luce strana.
Ti piaceva provocarmi tanto da togliermi le parole.

Ti piaceva essere al centro dell’attenzione e spingere gli altri a seguirti. Eri magnetica e pericolosa.
E non mi importava se qualcuno mi diceva "credo che tu meriti di più". In quel momento di più non esisteva e non mi importava.
Correvamo sul motorino come se ignorassimo di poterci ammazzare.
Facevamo l’amore come se volessimo ammazzarci con le nostre mani.
Ogni tanto sparivi e lasciavi tutti con il fiato sospeso a pensare a dove avresti potuto essere.


Con chi.

Ma soprattutto perché.


Non te lo ho mai chiesto anche se per te era la cosa più naturale del mondo.
Il mondo è un po’ una merda, mi dicevi, ma ti piaceva confrontarti.

Volevi sempre far vedere di essere invincibile ed io cercavo di starti dietro in tutti i modi.


Ricordo quella volta che mi sentii completamente impotente di fronte ai tuoi scatti d’ira, di fronte a quegli occhi che avevano una luce strana.
Un perché forse non c’era. C’era la rabbia.
C’era il fatto che tanto comunque ne vieni fuori quando vuoi come mi ripetevi sempre tu.
C’era che eri veramente più forte degli altri.
Fino al giorno in cui finimmo con il lanciarci dietro persino le tue scarpe.
Gridavi e mi dicevi che non capivo.
La polvere di stelle si era messa tra di noi e tu ti stavi allontanando da me e dal mondo.
Oggi mi ha chiamato Ste e mi ha detto che non ci sei più.
Forse avrei potuto fare qualcosa.
O forse no.
Grazie a quelli che le hanno regalato la sua polvere di stelle.
Grazie a quelli che le hanno detto "stasera vai forte"
Grazie a quelli con cui è stata sveglia tutta la notte senza sentire la paura e lo schifo.
Bella roba.


"Il danno è quando non c’è il business che mi chiama
perché la linea della vita è filigrana
e mi hanno detto che la vita è una puttana
te la fa pagare dall’inizio settimana"
Mi hanno detto che
Club Dogo

Caro Mario, oggi non ci sono

Per l’ennesima volta Mario prese a raccontarmi di come gira il mondo e di Martina.

"Non voglio farti un trattato o una formula che spiega quali siano le cose veramente importanti nella vita" mi disse

"Ma ho capito, secondo me, ciò su cui impegnare se stesso"

E sottolineò -secondo me- mentre distratto pescò da un pacchetto di patatine.

Lo guardai accigliato e con un sorriso malcelato come a dire: "Mario, ma a me che cazzo me ne frega?"
Forse niente. Ma tutto è niente. Vale la pena ascoltarlo. La curiosità, in fin dei conti, è il primo sintomo di intelligenza.


"Ti faccio un esempio: Usciamo una sera. Appuntamento alle 21:00 (:00 non :01). Macchina d’ordinanza. Cena con lume di candela e parole soffuse. Atmosfera da "come in un sogno". Ti riaccompagno a casa. E il dopo. E via.
Routine.
Pizza dopo pizza, lavoro dopo lavoro, stessi amici dopo stessi amici. Dopo c’è solo la morte.
E se quella sera mentre eravamo diretti verso la pizzeria avessimo svoltato verso non so dove solo per il gusto di guardare ciò che ci aveva colpito?
E se la avessi accompagnata lungo il fiume a guardare quei murales sotto la luce dei lampioni?
E se fossi sparito nel cuore della notte per lasciarle solo il ricordo di me?
E se fossimo stati in silenzio? Silenzio. Al posto di tutto ciò che non serve dire. E ci fossimo guardati negli occhi per indovinare nello sguardo dell’altro qualcosa di simile ad un "ti amo"?
E se fossi corsi sotto casa sua, in un giorno che non si aspetta, solo per dirle "ti ho pensato?"
"Questione di limiti…" mi disse Mario
"C’è chi ha una soglia di resistenza molto bassa e dopo due giri di campo o pochi chilometri di corsa preferisce fermarsi a tirare il fiato. O forse non partire mai.
E c’è chi quei limiti ce li ha molto più in alto. Questione di esperienza. Questione di botte nell’animo. E soffio innato di vita. Questione di desiderare sempre qualcosa di più"
Con la mano segnava un punto immaginario alto sopra le nostre teste e continuò. "per tutti quelli che vogliono fare della propria vita un’opera d’arte il limite è molto più in alto. Per alcune cose forse limite non c’è"
Si sedette vicino a me, chinò il capo e mentre si osservava le mani continuò
"A volte ammiro chi quei limiti ce li ha bassi. L’asticella del salto in alto supera di poco le proprie ginocchia e basta un piccolo sforzo per essere dall’altra parte. Li ammiro perché senza allenamento e con poco sforzo il loro risultato lo raggiungono.
"Io sono contento (per essere felice evidentemente gli mancava qualcosa) perché il mio punto di riferimento è splendente. Preferisco continuare a spingermi oltre per arrivare a Martina"
"Amo la sua capacità di essere instabile. La follia che tiene acceso il desiderio. Amo la sua volontà di appassionarsi alla vita e di vivere solo una cosa con tutta l’intensità possibile:
L’amore"
"Questo è ciò che mi rende vivo"
"E non importa se ti perdi quella serata. Quella pizza alle 21:00 (:00 non :01). Quelle frasi scontate.
L’asticella del salto in alto va messa sempre un po’ più in su"
"E tutto ciò che è stato fatto per saltare dall’altra parte riempie il cuore senza fine"



Regola numero 1. Se Mario ti chiede di salire a casa tua perché passava di lì per caso o perché vuole fare 4 chiacchiere…meglio non rispondere al citofon
o

giovedì 10 maggio 2007

Arzigogoli (seghe mentali)


Ora alzo il telefono e lo chiamo.


In fin dei conti non c’è niente di male. Ci siamo incrociati, abbiamo sbiascicato qualcosa fingendo reciproco interesse e mi è volato il suo biglietto da visita in tasca.


Si lo chiamo.


Devo comunque ringraziarlo per aver accompagnato a casa la mia amica.


Ora che ci penso bene però potrebbe anche darsi che tutto questo gran da farsi fosse indirizzato verso di lei, anziché verso di me.


Hai capito, lo stronzo? Dammi il tuo numero, ti chiamo, certo che sei simpatica, anche la tua amica, come hai detto che si chiama?....No, non lo chiamo più. Non voglio mica passare per quella che se la fa fare sotto il naso.


E poi lei…così angelica. “No, figurati, non stare ad accompagnarmi, devi fare un giro assurdo”…Ma quale giro assurdo, si vedeva lontano un miglio che non aspettavi altro. Ho deciso. Adesso lo chiamo, ma per dirgliene quattro. No, forse è meglio di no.


Se alla fine di tutto questo, non dovesse essere successo niente farei la figura della pazza nevrastenica che si è fatta tutti questi film senza alcun motivo. Forse la cosa migliore è chiamare lei. Potrei farle le solite domande da sigla di apertura, giro di parole inconcludenti, ah..che bello…ma va…e poi affondare con qualche domanda più particolare. Eh già..però chissà se riesco a farmi dire quello che vorrei. Con lei non ci sono mai riuscita. Sembra sempre che sappia dove voglio andare a parare.


E’ un tipo un po’ viscido e laido, ora che ci penso. Come quella volta che dicono che lei sia uscita con uno che dicono che avesse un’altra storia prossima all’altare. Non mi va un granchè di sentire quella sua voce simil-citofono. Non stasera. E se dovessi chiamare prima lui e subito dopo lei? Se dovessero essere tutti e due occupati allora sarebbe chiaro che è nato qualcosa tra di loro….’sti stronzi…e pensare che sono io che li ho fatti conoscere. Potrei aspettare che almeno uno dei due metta giù e poi, con un tono sarcastico e sostenuto, chiedergli “Con chi eri al telefono, prima?”. Voglio proprio vedere che cosa mi risponderebbero. Scommetto che entrambi mi risponderebbero la stessa cosa. Anzi no. Non sarebbe furbo. Già me li immagino. Lì al telefono a scambiarsi ridolini e falsi complimenti e ad accordarsi su come mentire alle prossime domande. Di sicuro è lei che gli dirà: “Allora, se lei ti chiama e ti chiede con chi eri al telefono potresti dirle che….”. Ora lascio passare dieci minuti, giusto il tempo che mettano giù la cornetta (ammesso che stiano parlando) e chiamo lei. E se dovessi chiamarla e sentire che c’è anche lui nella stanza. Magari che sta ridendo? O che le sussurra qualcosa?


Si, adesso la chiamo. Voglio proprio sentire che cosa mi dice. Se riesce ad essere impassibile anche questa volta…giuro che la strangolo.


Ho il sangue che mi pulsa nel cervello. Dove ho messo il suo numero? L’avevo qua da qualche parte….adesso mi sente…questa volta non gliela faccio passare liscia..alzo la cornetta: “Telecom Italia, messaggio gratuito, il numero da lei composto è inesistente”….pure la Telecom ci si mette. E se lui lavorasse in Telecom? E se avessero impostato questo messaggio sulle mie chiamate? E se fossero lì a vedere il mio numero sul display e a ridersela insieme…e se….(dedicato a Serena)

Fabio Lulli è papà (e interista)

Me la ricordo la prima volta...cioè non è che mi ricordi tutto ma la sensazione, quella sì. Sei piani o quasi a piedi e verso la fine lui, cominciava ad affacciarsi lui: tra un piano e l'altro, mettendoti in punta di piedi cominciavi a vederlo. Non ne avevo visti tanti: il parco, l'oratorio, sempre irregolari, sempre improvvisati, mai con un filo d'erba. Ancora qualche gradino con il cuore in gola, la mano in quella di mio padre e poi lui, eccolo là, abbagliante: sembra piccolissimo, sembra finto, sembra così morbido, non sembra vero da quanto è bello. E poi i rumori arrivano improvvisi: la folla, migliaia di conversazioni in contemporanea, la voce dell'altoparlante gracchia mentre il suo verde ancora mi acceca. S.Siro: sembrava un luogo misterioso. Esisteva solo alla radio quando Ciotti diceva "spalti gremiti in ogni ordine di posto", c'era solo nei discorsi di quelli più grandi che dicevano "Domenica vado a S.Siro" e se ne riempivano la bocca: andate, andate pure a questo S.Siro che io domenica tanto vado dai nonni. Finalmente c'ero anch'io a questo S.Siro e mi girava la testa mentre vedevo quelle maglie nerazzure fare il riscaldamento: più che azzurre mi sembravano blu. Bello il blu, mi è sempre piaciuto. "Papà, come si chiama quello alto con i riccioli? Altobelli? Ah, allora è quello che fa tutti i gol? Ma oggi segna? Come non si sa? Secondo me segna di sicuro": la speranza cieca e ingiustificata dell'interista mi fa compagnia ancora oggi. Ormai ero innamorato: l'avevo solo sentita nominare, mi avevano promesso di presentarmela di persona, già mi piaceva ma amore senza neanche vederla mi sembrava eccessivo. Eccomi qui: piacere Fabio, ciao Inter, cerca di vincere oggi che è la mia prima volta a S.Siro, mi sa che mi hai già stregato il cuore. Mamma e squadra di calcio: dicono che solo loro non si cambiano per la vita. Con la mamma ero già a posto, a posto anche con la squadra adesso: non ti cambio più tranquilla Inter, anche se in classe siamo solo in tre che teniamo per te e all'intervallo ci prendono in giro. E' cominciata così e continua ancora adesso: nel frattempo pioggia, freddo, caldo, gioia poca, nebbia, lanci lunghi dello stopper, sofferenza tanta, caffè caldo, coca a 5000 lire, smarties che portano fortuna, mars perchè in realtà gli smarties portano sfiga, niente più mars perchè domenica l'ho preso e abbiamo perso lo stesso, abbraccio a uno sconosciuto perchè abbiamo segnato, cinque alto a quello dietro perchè oggi lo avevamo detto solo io e lui che il fenomeno segnava, chi non salta rossonero è, coda in bagno all'intervallo (e arriva sempre quello che dice "C'è anche la coda per pisciare" e tutti giù a ridere), coda fuori ai cancelli, coda in macchina per tornare a casa e merenda prima di vedere 90 minuto, voltarsi a fine primo tempo e improvvisare un punto tecnico con il tizio dietro (tu che da bambino dovevano spararti per parlare con gli estranei). Come spiegare cosa si prova quando l'orologio segna l'ottantesimo minuto e sai che i tuoi non passeranno mai più la metà campo trasformando la nostra area di rigore in una tonnara: la mattanza è interminabile e i minuti diventano ore, mentre migliaia di persone sembrano soffiare verso il pallone per allontanarlo dalla nostra porta. La "cagona" finale dell'Inter è marchio DOP. Non si "va" allo stadio, "si deve andare allo stadio": è un abisso senza ritorno e non c'è San Patrignano che tenga. C'è sempre un fondo di sofferenza negli occhi di chi incontrate in piazzale Axum, la stessa che in genere vi fa abbassare gli occhi e sussurrare "Sono interista" quando vi chiedono per quale squadra tifate: abbassate gli occhi per non vedere il sorriso di chi vi sta di fronte e che si sente sempre in dovere di farvi la solita battuta del cazzo. Già perchè è facile fare battute quando non sai cosa vuol dire esserci con ogni temperatura, se non sei mai arrivato due ore prima della partita perchè i posti non sono numerati e ti ghiacci il culo sui gradoni, se non misuri la tua vita a stagioni calcistiche, se non hai mai pensato per un momento che se segnano adesso non me frega dell'esame di Diritto Privato di martedì, se non sei mai stato giù di morale ma poi l'Inter ha vinto il derby e almeno quella parte della tua vita sta andando bene, se non hai mai pianto quando finalmente Baggio ha segnato scartando il portiere giocando nell'Inter, se non hai mai urlato talmente forte dopo un gol da annebbiarti la vista. Le battute fatele ai Severgnini che contano i soldi sulle nostre sfortune seduti nel loro accogliente salotto, fatele ai quei quattro comici che neanche sanno che Angelo Orlando e Andrea Seno hanno giocato nell'Inter perchè quella sì sarebbe una battuta da far venire giù il teatro, fatele a chi crede che in fondo sia solo una partita e tanto cosa ce ne viene in tasca. Quest'anno abbiamo vinto lo scudetto e nasce mio figlio: sparatemi adesso. (racconto di Fabio Lulli)